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Settore moda: rilevanza fiscale dei compensi corrisposti a società non residente

L’approfondimento: La Suprema Corte di cassazione, con la sentenza del 27 gennaio 2023, n. 2619, ha
stabilito che i compensi per prestazioni di lavoro autonomo rese in Italia da soggetti non residenti ad una società domestica sono soggetti alla ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 30%, ex art. 25, comma 2, del D.P.R. n.600/1973,anche se rese da società. Per i giudici a quo nella valutazione della natura dei compensi in rassegna occorre considerare in primis il profilo oggettivo di tali prestazioni generatrici di redditi di lavoro autonomo, in ipotesi in cui, come nel caso di specie, sia prevalente la natura personale rispetto all’organizzazione di mezzi e risulta, quindi, verificata tale condizione per le prestazioni di modelli, parrucchieri, truccatori e stilisti, pur se fatturate da società.
Come appena anticipato, i Supremi giudici con la sentenza n. 2619/2023 in rassegna sono tornati nuovamente sul tema della corretta qualificazione fiscale delle prestazioni di servizi rese in Italia da soggetti non residenti nel territorio dello Stato operanti nel settore della moda, richiamando nella sostanza i principi formulati dai medesimi giudici con la precedente sentenza dello scorso 3 marzo 2022, n. 7108, con la quale, in sintesi, si è pervenuti alla conclusione che i compensi de quo fatturati da società estera sia per le prestazioni professionali in parola (i.e. modelli, parrucchieri, truccatori e stilisti), che per l’attività di intermediazione non risultano imponibili in Italia ancorché per due diversi ordini di motivi:
(1) per i primi (prestazioni nel settore della moda), in base alle disposizioni pattizie indicate nella Convenzione contro le doppie imposizioni vigente tra l’Italia e il Paese di residenza dei prestatori dei servizi, i relativi compensi sono imponibili soltanto nel Paese di residenza, in assenza di una base fissa in Italia dei percipienti;
(2) per i secondi (agency fees), qualificandosi come prestazioni di intermediazione ovvero utili d’impresa, risultano imponibili in Italia ex lege1 soltanto in presenza di una stabile organizzazione dell’impresa non residente.
Nella più recente sentenza in rassegna n. 2619/ 2023 non viene, invece, analizzato l’aspetto afferente l’applicazione delle più favorevoli disposizioni pattizie in assenza della documentazione necessaria per l’accesso al regime de quo e, su questo punto, vogliamo fin da subito evidenziare come la prassi dell’Ufficio finanziario non consente al contribuente, in caso di dubbio o errore nell’interpretazione della norma sulla rilevanza o meno della prestazione di servizi in Italia, la postuma esibizione, in caso di contestazioni, della richiamata documentazione ora per allora attestante i requisiti convenzionali in capo al soggetto percipiente fin dall’origine della prestazione effettuata e, quindi, di fruire del più favorevole regime fiscale anche in considerazione, come vedremo in prosieguo, della prevalenza delle Convenzioni contro le doppie
imposizioni sul diritto interno.
Andando con ordine, registriamo che ai fini della tassazione in Italia dei soggetti residenti all’estero limitatamente ai redditi prodotti nel territorio dello Stato, le disposizioni domestiche (art. 23, D.P.R. n. 917/1986 -T.U.I.R.) prevedono come criterio di carattere generale, tra l’altro, la tassazione attraverso l’applicazione del complesso sistema delle ritenute fiscali alla fonte a titolo d’imposta (i.e. definitivo), in base alle regole contenute nel Titolo III del D.P.R. n. 600/1973, art. 25, in cui sono ricomprese le fattispecie prese a base dai giudici di legittimità ovvero i compensi erogati a soggetti non residenti per i redditi di lavoro autonomo ancorché effettuate da imprese. Come abbiamo in precedenza ricordato, in generale il presupposto fondamentale ai fini della tassazione in Italia di un compenso corrisposto a un soggetto non residente è la produzione della stesso nel territorio dello Stato, così come si rinviene dal richiamato art. 23, comma 1, del T.U.I.R. il quale stabilisce che ai fini dell’applicazione dell’imposta ai non residenti si considerano prodotti, rispettivamente, nel territorio dello Stato:

• i redditi di lavoro autonomo, derivanti da attività esercitata nel territorio dello Stato2;

• i redditi d’impresa, derivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato mediante stabili organizzazioni nel
territorio stesso di soggetti non residenti.

Inoltre, in deroga al principio della territorialità, ai sensi del successivo comma 2 del citato art. 23, si considerano in ogni caso prodotti in Italia se corrisposti dallo Stato, o da stabili organizzazioni nel territorio stesso di soggetti non residenti, tra l’altro:
•i compensi conseguiti da imprese, società o enti non residenti per prestazioni artistiche o professionali effettuate per loro conto nel territorio dello Stato.

Ripercorrendo il fulcro della sentenza dei giudici di legittimità, ovvero una volta stabilito la rilevanza territoriale delle prestazioni in parola, e valutata la natura dei compensi in rassegna da cui si accerti che sotto il profilo oggettivo tali prestazioni siano generatrici di redditi di lavoro autonomo3, ne consegue senza dubbio la loro rilevanza in Italia ai fini della tassazione in base ad una delle supra descritte previsioni domestiche recate dal richiamato art. 23 del T.U.I.R., sia che esse siano svolte in ambito personale che in forma societaria4. Ai fini della tassazione dei non residenti, interviene l’art. 25 del D.P.R. n. 600/1973, che al comma 2 stabilisce che: “se i compensi e le altre somme (..) sono corrisposti a soggetti non residenti da parte di sostituti d’imposta deve essere
operata una ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 30%.”. Tale ritenuta assolve a tutti gli obblighi impositivi sul reddito corrisposto al soggetto non residente sia esso persona fisica o impresa5.

Applicazione delle Convenzioni contro le doppie imposizioni

Il sostituto d’imposta costretto dalla legislazione interna ad effettuare la ritenuta sul compenso corrisposto al percettore non residente, prima di procedere all’applicazione della ritenuta de qua si potrebbe porre il problema della doppia imposizione del compenso erogato che può essere superata dall’esistenza di appositi Trattati internazionali che l’Italia ha stipulato con la gran parte degli altri Paesi, proprio al fine proprio di evitare che uno stesso reddito venga prima assoggettato a tassazione domestica e successivamente nel Paese di residenza del percettore. In primis, giova ricordare che l’Agenzia delle entrate ha da sempre dichiarato che gli interessati (i.e. percipienti esteri) possono chiedere l’applicazione diretta della Convenzione al sostituto d’imposta italiano già in sede di effettuazione della ritenuta. A tale proposito, si richiamano i documenti di prassi ministeriale (C.M. della Direzione Generale delle Imposte Dirette n. 86/1977, n. 115/1978 e n. 147/1978, R.M. n. 95/E del 10 giugno 1999 e n. 68 del 24 maggio 2000, del Dipartimento delle Entrate, Direzione Centrale Affari Giuridici e Contenzioso Tributario e il Provvedimento direttoriale prot. n. 2013/ 84404 richiamato alla nota n. 12), con i quali è stato precisato che i sostituti d’imposta hanno la facoltà, sotto la propria responsabilità, di applicare direttamente l’esenzione o le minori aliquote previste nelle Convenzioni pattizie vigenti fra l’Italia e lo Stato di residenza del beneficiario del reddito. A parere di chi scrive, tale ammonimento pare avere natura formale in quanto pur riferendosi all’applicazione di disposizioni normative, tale è la veste che assumono i Trattati de quo nell’ordinamento interno, si vuole comunque sensibilizzare il sostituto d’imposta ad acquisire per tempo gli elementi necessari che consentono l’applicazione concreta dei Trattati, quali:

•l’attestazione di residenza ai fini tributari nel Paese estero, rilasciata dalla competente Autorità fiscale;

•la dichiarazione di esistenza o meno di una stabile organizzazione (se si tratta di impresa) o di base fissa (se si tratta di professionista) in Italia, cui siano riconducibili i redditi in relazione ai quali si chiede il rimborso dell’imposta e/o l’esenzione o l’applicazione della aliquota ridotta;

• la dichiarazione di esistenza di eventuali altre specifiche condizioni previste dalla Convenzione.

Per facilitare l’erogazione del rimborso o l’applicazione della aliquota ridotta prevista dal Trattato fiscale, l’Agenzia delle entrate con il citato Provvedimento prot. n. 2013/84404 ha predisposto dei modelli standard da utilizzare da parte dei soggetti non residenti che soddisfano i suddetti requisiti6.
Come fatto cenno, i Trattati in parola, essendo stati recepiti nell’ordinamento interno con legge di ratifica, acquistano il valore di fonte primaria e le relative disposizioni nazionali di riferimento vanno individuate:


- nell’art. 10, comma 1 della Costituzione, il quale prevede che l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute;
- nel successivo art. 117, che prevede l’obbligo comune dello Stato e delle Regioni di conformarsi ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario ed agli obblighi internazionali;
- nell’art. 75 del D.P.R. n. 600/1973, a norma del quale nell’applicazione delle disposizioni concernenti le imposte sui redditi, sono fatti salvi accordi internazionali resi esecutivi in Italia;
- nell’art. 169 del T.U.I.R., per il quale le disposizioni dello stesso Testo Unico si applicano, se più favorevoli al contribuente, anche in deroga agli accordi internazionali contro la doppia imposizione.

Sulla base di dette norme, da ultimo richiamate dalla risposta all’interpello dell’Agenzia delle entrate n. 129/2013, è indubbio che le Convenzioni pattizie prevalgono sulla normativa interna come statuito esplicitamente anche dalla Suprema Corte di cassazione con la sentenza n. 1138/2009 la quale, pronunciandosi sulla Convenzione tra Italia ed Irlanda, ha affermato il principio generale secondo cui le Convenzioni per il carattere di specialità del loro ambito di formazione, cosi come le altre norme internazionali pattizie, prevalgono sulle corrispondenti norme nazionali, dovendo la potestà legislativa essere esercitata nei vincoli derivanti, tra l’altro dagli obblighi internazionali e ciò in base al richiamato art. 117, comma 14, della Costituzione7. Una riflessione che ci sovviene in tal caso riguarda la prassi dell’Amministrazione finanziaria nel disconoscere il portato legislativo delle diposizioni pattizie in esame qualora il soggetto estero non presenti le suddette certificazioni/attestazioni che ne attestano i requisiti entro il momento in cui deve essere operata e versata la ritenuta d’imposta. Mentre la ratio della prassi de qua potrebbe essere quella di dimostrare ab origine da parte del percipiente estero il possesso dei requisiti per l’applicazione delle disposizioni pattizie e, quindi, di poter fruire del più agevole regime convenzionale, non si comprende, invece, la motivazione per la quale qualora a posteriori, a seguito di controlli dell’Amministrazione finanziaria risultasse che i proventi de quo corrisposti a soggetti non residenti non siano stati assoggettati a ritenuta, non è più ammessa l’esibizione della certificazione/attestazione atta a dimostrate il diritto alle più favorevoli condizioni pattizie ora per allora. De iure condendo, a parere di chi scrive, si ritiene che il superamento di una tale prassi eviterebbe di generare contenziosi, il cui esito non è mai certo per ogn’una delle parti in causa, ovvero il ricorso a strumenti internazionali per dirimere le controverse contro le doppie imposizioni, una tra tutte la c.d. Direttiva c.d. DRM8.
Prima di passare all’esame della sentenza dei giudici di legittimità oggetto della presente disamina analizziamo alcuni recenti documenti di prassi amministrativa che hanno riguardato il tema dell’applicazione della ritenuta d’imposta sui compensi corrisposti a soggetti non residenti.

Agenzia delle entrate - Risposta dell’11 dicembre 2019, n. 512

Con la risposta a interpello n. 512/2019, l’Agenzia delle entrate si è occupata del trattamento fiscale dei compensi per attività di lavoro autonomo svolta in Italia da un soggetto che ha trasferito la propria residenza in un altro Stato membro (Spagna), con particolare riguardo ai compensi afferenti a un periodo di imposta in cui il professionista era residente in Italia, ma percepiti in un periodo di imposta successivo, ovvero quando il percipiente risultava fiscalmente residente all’estero. Più in dettaglio, nel caso di specie i compensi de qua afferivano all’attività professionale svolta in Italia nell’ultimo periodo dell’anno 2018 ed incassati nel successivo anno 2019 in cui il soggetto non era più residente in Italia, mantenendo quivi accesa la partita IVA, (N.d.R.) pur non essendovi obbligato9. Come già ricordato, la disposizione domestica (art. 25, comma 2, del richiamato D.P.R. n. 600/1973), impone per i compensi di lavoro autonomo corrisposti a soggetti non residenti l’applicazione della ritenuta a titolo d’imposta (i.e. definitiva) nella diversa misura del 30%, al di fuori dei casi in cui tali compensi riflettono prestazioni effettuate all’estero o siano corrisposti a stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti, contrariamente a quanto previsto per i soggetti residenti, a cui si applica la ritenuta a titolo di acconto nella misura inferiore del 20%, atteso che in tal caso la tassazione definitiva avviene in sede di dichiarazione dei redditi.
In proposito, si pone in evidenza come il reddito di lavoro autonomo rileva fiscalmente nel momento in cui il compenso è incassato, vigendo per lo stesso il c.d. principio di cassa, significando che per le prestazioni di servizi fatturate in un periodo di imposta ma incassate in un diverso periodo d’imposta (i.e. anno successivo), il relativo compenso concorre a formare reddito di lavoro autonomo nel periodo di effettivo incasso10.
Pertanto, nel caso di specie, tenuto conto che i compensi in rassegna sono risultati incassati nell’anno 2019, l’Agenzia delle entrate conclude che è in tale esercizio che devono essere soggetti a tassazione mediante l’applicazione della richiamata ritenuta d’imposta del 30% prevista per i soggetti non residenti. Da ultimo, l’Amministrazione finanziaria precisa ancora che il Fisco italiano mantiene, comunque, la propria potestà impositiva ex art. 14, paragrafo 1 della Convenzione Italia/Spagna, da cui discende come regola generale la tassazione esclusiva nello Stato di residenza dei redditi di lavoro autonomo e come eccezione, la tassazione concorrente nello Stato della fonte ove venga in rilievo la presenza di una base fissa.
Ai fini operativi, ne consegue che il professionista espatriato, in assenza di una base fissa in Italia, potrà accedere ai benefici pattizi previa presentazione al sostituto d’imposta della prescritta attestazione comprovante l’applicazione del richiamato art. 14 della Convenzione Italia/Spagna. In alternativa, se il prelievo dell’imposta italiana è stato effettuato in misura eccedente l’aliquota convenzionale ovvero è stata applicata la ritenuta ordinaria interna, pur spettando la tassazione in via esclusiva al Paese di residenza del beneficiario del reddito, si può chiedere a rimborso la maggiore imposta trattenuta. Il termine per richiedere il rimborso è di 48 mesi dalla data del prelevamento dell’imposta (art. 38, commi 1 e 2, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602)11.

Agenzia delle entrate - Risposta del 20 maggio 2022, n. 285

L’Agenzia delle entrate con la recente risposta a interpello n. 285/2022 si è occupata del trattamento fiscale applicabile, ai fini IRPEF e IVA, al reddito di lavoro autonomo prodotto da un soggetto non residente per un’attività di consulenza resa ad un Ministero Italiano. Come supra evidenziato dall’art. 25, commi 2, del D.P.R. n. 600/1973, si ricava che i sostituti d’imposta che corrispondono a soggetti non residenti nel territorio dello Stato compensi per prestazioni di lavoro autonomo, devono operare all’atto del pagamento una ritenuta titolo d’imposta nella misura del 30%, anche per le prestazioni effettuate nell’esercizio di imprese, con la sola esclusione dei compensi per prestazioni di lavoro autonomo effettuate all’estero e di quelli corrisposti a stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti. Ai fini dell’applicazione dell’imposta nei confronti dei soggetti non residenti, viene in rilievo il disposto di cui al richiamato art. 23, comma 1, lett. d), del T.U.I.R. per il quale si considerano prodotti nel territorio dello Stato i redditi di lavoro autonomo derivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato. La normativa de qua deve ovviamente tenere conto delle più favorevoli disposizioni pattizie contenute nella Convenzione per evitare le doppie imposizioni stipulata tra Italia e il Paese di residenza del percettore del reddito (i.e. Paesi Bassi). Nel caso di specie, si osserva che la norma pattizia stabilisce che i compensi derivanti dall’attività professionale sono imponibili soltanto nello Stato di residenza del professionista, a meno che detto professionista non disponga abitualmente di una base fissa per l’esercizio della sua attività nello Stato contraente da cui provengono i compensi.
In detta evenienza, i redditi sono imponibili anche nello Stato contraente, ma solamente nella misura in cui sono imputabili a detta base fissa. Il concetto di “base fissa” deve essere assimilato al concetto di “stabile organizzazione”, ossia una sede fissa di affari in cui il professionista esercita in tutto o in parte la sua attività indipendente. In proposito, l’Agenzia evidenzia che l’elemento costitutivo della “fissità” implica che la sede sia un luogo determinato ed abbia un certo grado di permanenza nell’utilizzo. Tale sede, quindi, può essere costituita anche da un locale o una stanza di proprietà di soggetti terzi messa a disposizione del professionista per esercitare la sua attività o parte della stessa. Pertanto, nell’ipotesi in rassegna in cui il professionista utilizza le strutture logistiche presenti presso il Ministro committente la prestazione de qua, si ritengono integrati i requisiti della sussistenza di una “sede fissa” di affari in Italia che determinano l’applicazione sui compensi erogati della ritenuta a titolo d’imposta nella misura ordinaria del 30%.
Ai fini dell’IVA, l’Agenzia delle entrate conclude evidenziando che non risultando il Ministero titolare di partita IVA, si ritiene che non siano integrate le condizioni, ex art. 7-ter del D.P.R. n. 633/1972, per considerare la prestazione di servizi in parola territorialmente rilevante in Italia. Conseguentemente, il professionista estero dovrà emettere fattura con l’addebito dell’IVA secondo le regole vigenti nello Stato estero.

Agenzia delle entrate - Risposta del 20 gennaio 2023, n. 129

Con l’ulteriore e più recente riposta all’interpello n. 129/2023, l’Agenzia delle entrate si è occupata delle somme corrisposte da una società di produzione cinematografica italiana ad una partnership statunitense interamente partecipata da un regista anch’esso americano, concludendo per la tassazione esclusiva negli USA di tale reddito. Trattandosi di una prestazione professionale resa in Italia da non soggetto non residente, come più volte evidenziato, il relativo compenso risulta soggetto in via ordinaria alla ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 30% prevista dall’art. 25, comma 2, del D.P.R. n. 600/1973, fermo restando l’applicazione del più favorevole regime fiscale previsto dal Trattato contro le doppie imposizioni in vigore tra l’Italia e gli USA.
Anche in tale risposta viene in rilievo il principio della prevalenza delle Convenzioni pattizie sul diritto interno riconosciuto in ambito fiscale dai richiamati artt. 169 del T.U.I.R. e 75 del D.P.R. n. 600/1973, oltre che dal diritto costituzionale. Nel caso di specie, quindi, si ritiene applicabile la Convenzione contro le doppie imposizioni tra l’Italia e gli USA ancorché i compensi de quo sono stati corrisposti ad una società di persone fiscalmente trasparente in base alla normativa estera, interposta tra il soggetto italiano e il regista socio unico di tale società. In proposito, l’Agenzia delle entrate evidenzia come la citata Convenzione con l’Italia all’art. 4 stabilisce in sintesi che la società di persone è considerata “residente” ai fini convenzionali nella misura in cui il reddito di fonte estera venga assoggettato a imposizione in capo alla società o per trasparenza in capo ai soci, con la conseguenza che il soggetto inciso dall’imposizione (i.e. socio) ha, quindi, titolo a beneficiare del disposto dell’art. 14 della Convenzione in base alla quale, in assenza di una stabile organizzazione e/o base fissa in Italia, ne consegue la tassazione dei compensi esclusivamente negli USA.

Corte di cassazione - sentenza del 27 gennaio 2023, n. 2619

Ritornando ora alla sentenza dei giudici di legittimità n. 2619/2023 che ci occupa, con la quale la Suprema Corte è ritornata ancora una volta sulla fattispecie della corretta qualificazione fiscale delle prestazioni di servizi rese da soggetti non residenti nel settore della“moda”.Al riguardo, è stato confermato, analogamente alla precedente sentenza n. 7108/2022, che i compensi per le attività di stilisti, parrucchieri e truccatori hanno natura di redditi di lavoro autonomo ancorché fatturate da società non residenti e sono rilevanti in Italia in base alle diposizioni interne, fermo restando come supra evidenziato la possibilità di applicare il regime pattizio più favorevole, aspetto questo non attenzionato per l’assenza delle attestazioni afferenti ai requisiti di cui supra.
Più in dettaglio, la fattispecie esaminata ha riguardato la contestazione nei confronti di una società residente per la mancata effettuazione della ritenuta d’imposta del 30%, con specifico riferimento ai pagamenti effettuati in favore di tre società inglesi in qualità di mere intermediarie, per prestazioni professionali rese da soggetti non residenti, stilisti, parrucchieri e truccatori, ingaggiati per sfilate di moda. In proposito, si evidenzia che anche nella sentenza de qua viene in rilievo che l’aspetto principe della questione risiede sempre nell’art. 25, comma2, del D.P.R. n. 600/1973, da cui discende l’obbligo per il sostituto d’imposta domestico di assoggettare a ritenuta d’imposta nella predetta misura ordinaria del 30% i compensi per prestazioni di lavoro autonomo corrisposti a soggetti non residenti, ancorché effettuate nell’esercizio d’impresa, con le sole esclusioni meglio viste in precedenza.
Preliminarmente, i giudici di legittimità confermano che ai fini dell’applicazione del relativo regime fiscale occorre verificare se la prestazione ha natura di attività di lavoro autonomo pur se la stessa risulta riaddebitata da una società e, quindi, occorre stabilire se nelle prestazioni de qua prevale la natura personale rispetto all’aspetto dell’organizzazione dei mezzi, circostanza verificata per le prestazioni oggetto della presente disamina. Inoltre, per la Corte a nulla rilevano le effettive modalità con cui le prestazioni sono rese in quanto le stesse rimangono produttive di redditi di lavoro autonomo ancorché nel caso di specie sono state svolte attraverso l’ausilio di un folto stuolo di collaboratori, tale da poter far presupporre un’organizzazione di mezzi tipica delle imprese. In conclusione, i giudici di legittimità pervengono a un’ulteriore conferma che per la fattispecie in disamina ciò che rileva ai fini dell’applicazione della ritenuta per i non residenti è la natura oggettiva della prestazione a nulla rilevando la forma del soggetto che la rende che nel caso in disamina è risultato essere un’impresa. Nell’ambito della sentenza è stato altresì esaminato anche l’aspetto riguardante l’ipotesi di restrizione alla libertà di prestazione di servizi verso prestatori stabiliti in altro Stato membro dovuta all’applicazione di una ritenuta alla fonte sui compensi corrisposti, evidenziando come la Corte di Giustizia con sentenza del 18ottobre2012 in causa C-498/10, ha ritenuto che una siffatta restrizione possa essere ammessa per ragioni imperative e di
interesse generale. Per l’appunto, in tal caso gli Stati hanno la necessità di garantire l’efficacia della riscossione dell’imposta attraverso la procedura della ritenuta alla fonte, utile ad evitare che i redditi di un soggetto stabilito in uno Stato diverso da quello dell’imposizione sfuggano alla tassazione sia nello Stato di residenza che in quello in cui i servizi sono forniti (N.d.R.), realizzando l’ipotesi di doppia non imposizione.

Considerazioni e conclusioni

In conclusione, i giudici di legittimità confermano la tesi dell’Ufficio ovvero che l’attività svolta dalla società nelle prestazioni in parola è risultata di mera intermediazione, con la conseguenza che i rapporti sono stati ricondotti ai singoli operatori persone fisiche e, quindi, ricorre il presupposto normativo di cui al più volte citato art. 25, comma 2, del D.P.R. n. 6000/1973, rilevando in tal caso la natura oggettiva della prestazione e non la forma del soggetto che la eroga (i.e. società).
Note:
1 In tema di ritenute, nei rapporti con intermediari esteri la norma
di riferimento è rappresentata dall’art. 25-bis, ultimo comma, del
D.P.R. n. 600/1973, ai sensi del quale le ritenute di cui ai
precedenti commi “si applicano anche alle provvigioni corrisposte
a stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti
non residenti”.
2 In proposito, giova evidenziare che autorevole dottrina, richiamando
la circolare Assonime del 5 giugno 1973, n. 101, ricomprende
nella locuzione di “esercizio di arti e professione” non
solo i percettori di reddito di lavoro autonomo iscritti in appositi
Albi o elenchi, ma anche quelle attività che pur non incluse nei
predetti Albi/Elenchi sono tuttavia caratterizzate da una completa
autonomia del soggetto che le esercita rispetto al soggetto
che ne beneficia (S. Capolupo, Manuale dell’Accertamento delle
imposte, IPSOA editore).
3 La Suprema Corte di cassazione, con la sentenza del 3 marzo
2022, n. 7108 ha chiarito che l’attività tipica svolta dalle modelle,
debba considerarsi un’attività di carattere personale, propria dei
prestatori autonomi diversa, quindi, da quella artistica in quanto
non destinata alla realizzazione di spettacoli. Per un approfondimento
sulla sentenza de qua, si rimanda a D. Greco, “Compensi
percepiti dalle fashion models internazionali: il caso Dolce &
Gabbana”, in questa Rivista, n. 1/2023.
4 D.P.R. n. 917/1986, Art. 23,comma 1. Ai fini dell’applicazione
dell’imposta nei confronti dei non residenti si considerano
prodotti nel territorio dello Stato: ... d) i redditi di lavoro
autonomo derivanti da attività esercitate nel territorio dello
Stato.Comma2: Indipendentemente dalle condizioni di cui alle
lett. c), d), e) e f) del comma 1 si considerano prodotti nel
territorio dello Stato, se corrisposti dallo Stato, da soggetti
residenti nel territorio dello Stato o da stabili organizzazioni nel
territorio stesso di soggetti non residenti: ... d) i compensi
conseguiti da imprese, società o enti non residenti per prestazioni
artistiche o professionali effettuate per loro conto
nel territorio dello Stato.
5 Sela“prestazione” è svolta in parte in Italia e in parte all’estero si
ritiene soddisfatto il requisito della territorialità previsto dall’art.
23 T.U.I.R., ciò in quanto i casi di esclusione dell’applicazione
della ritenuta si riferiscono al solo lavoratore autonomo non
residente che effettua la prestazione a favore del soggetto italiano
interamente all’estero, nel qual caso la somma non è tassata in
Italia e, quindi, non è soggetta a ritenuta alla fonte.
6 Al seguente link: urly.it/3t_d9 l’Agenzia delle entrate ha pubblicato
le risposte alle domande più frequenti relative ai certificati
di residenza, cui si rimanda.
7 Al riguardo, giova segnalare che la più recente decisione dei
giudici di legittimità n. 19722/2022, laddove si evidenzia che le
norme pattizie delle Convenzioni contro le doppie imposizioni
non sono in contrasto necessario con l’applicabilità di norme
antievasione e antiabuso interne dei Paesi contraenti. Il caso
analizzato dalla Cassazione si riferiva all’indeducibilità delle
spese derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti e
imprese domiciliate fiscalmente in Stati non appartenenti
all’Unione Europea aventi regimi fiscali privilegiati, come disciplinato
dall’abrogato art. 110, comma, 10 e 11 del T.U.I.R., il
quale non era in contrasto con l’art. 25 della Convenzione
contro le doppie imposizioni stipulata tra l’Italia e la Svizzera,
interpretato secondo il principio generale di buona fede di cui
all’art. 31 della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati e
in conformità al Commentario OCSE.
8 Direttiva UE 2017/1852, c.d. DRM recepita con il D.Lgs. n.
49/2020 e relativo Provvedimento attuativo dell’AdE del 16
dicembre 2020, n. 381180.
9 L’Agenzia delle entrate con la risposta n. 20 del 29 novembre
2019, ritiene che il professionista abbia la possibilità di anticipare
la fatturazione delle prestazioni rese e, quindi, l’esigibilità
dell’IVA rispetto al momento dell’effettivo incasso e poi chiudere
la partita IVA.
10 In proposito, l’AdE con la risposta in disamina richiama, tra le
altre, la sentenza della Suprema Corte di cassazione del 30 luglio
2014, n. 17306.
11 In tal senso, si veda il Provvedimento direttoriale prot. n. 2013/
84404 di approvazione dei modelli di domanda per il rimborso,
l’esonero dall’imposta italiana o l’applicazione dell’aliquota
ridotta sui redditi corrisposti a soggetti non residenti in forza
delle Convenzioni contro le doppie imposizioni sui redditi, della
Direttiva del Consiglio 90/435/CEE del 23 luglio 1990
(Direttiva “madre-figlia”) e della Direttiva del Consiglio
2003/49/CE del 3 giugno 2003 (Direttiva “interessi e canoni”),
nonché approvazione del modello di attestato di residenza fiscale
per i soggetti residenti.