Nostri articoli e pubblicazioni

Reati tributari: rilevanza penale delle rettifiche da transfer pricing

In evidenza: Le modifiche operate dal legislatore alla normativa penal-tributaria, anche dall’art. 4 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 741, ci riporta a riconsiderare il tema della rilevanza penale delle rettifiche da transfer pricing, nell’ambito del delitto di dichiarazione infedele, nella versione in vigore dal 25 dicembre 20192.
Come è ormai noto, la tematica del transfer pricing è generalmente ricondotta nell’alveo dei fenomeni delle c.d. valutazioni estimative che, anche a seguito delle modifiche apportate all’art. 4 della richiamata norma, che disciplina in modo più stringente il reato di dichiarazione infedele, come vedremo meglio in prosieguo, potrebbero, a determinate condizioni, configurare l’ipotesi di reato de quo. Le modifiche al novellato art. 4, del D.Lgs. n. 74/2000, hanno inasprito il reato di dichiarazione infedele che si configura quando “al fine di evadere le [N.d.R. sole] imposte sui redditi (IRES e IRPeF) o sul valore aggiunto (IVA)3, si indicano in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi inesistenti4. Il tenore letterale della disposizione in rassegna condurrebbe a sostenere che in caso di rettifica avente ad oggetto componenti positivi (i.e. maggiori ricavi infragruppo) si potrebbe ritenere, in linea generale, integrata la fattispecie penale di indicazione in dichiarazione di “elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo”, al superamento delle previste soglie. Resterebbe, comunque operante l’esimente recata dal successivo comma 1-bis in base al quale “ai fini del comma 1 non si tiene conto della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali”.
Acontrariis, nel caso di rettifica avente ad oggetto i soli componenti negativi (i.e. rettifica di costi intercompany) si potrebbe in assoluto ritenere non integrata la fattispecie de qua in quanto tali costi rettificati sono, comunque, riscontrabili nella realtà poiché effettivamente sostenuti e, quindi, ancorché costituendo “elementi passivi”, non appaiono idonei ad essere classificati, solo in conseguenza della violazione delle regole di valutazione dei prezzi di trasferimenti, come effettivamente “inesistenti”. A dire il vero, l’irrilevanza penale per gli “elementi passivi” discende dalla modifica in precedenza introdotta alla norma in rassegna dal D.Lgs. n. 158/2015, in base al quale le rettifiche dei costi da transfer pricing non hanno più rilevanza penale a seguito della sostituzione del (vecchio) termine “fittizi” con (l’attuale) “inesistenti” ciò in quanto, come abbiamo appena visto, i costi da transfer pricing vengono realmente sostenuti dall’impresa multinazionale, ancorché in taluni casi diversamente valutati dal Fisco in sede di verifiche fiscali.

Operatività delle cause di esclusione

Abbiamo appena visto come le rettifiche in materia di transfer pricing aventi ad oggetto elementi positivi e negativi si atteggiano in modo diverso nell’ambito della fattispecie delittuosa di cui all’art. 4 del D.Lgs. n. 74/2000, il quali prevede, rispettivamente, le seguenti esimenti al comma:

• 1-bis, in base al quale ai fini dell’applicazione della disposizione del comma 1, non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali;
• 1-ter, che dispone che fuori dei casi di cui al predetto comma 1-bis, non danno luogo a fatti punibili le valutazioni che complessivamente considerate, differiscono in misura inferiore al 10% da quelle corrette. Degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità previste dal comma 1, lett. a) e b).

In proposito, è appena il caso di evidenziare che il Governo in prima battuta aveva abolito in toto la precedente versione del comma 1-ter dell’art. 4 in esame e solo in sede di conversione del D.L. n. 124/2019, collegato al bilancio 2020, ha reintrodotto l’esimente de quo con una non banale differenza. Infatti, in precedenza tale esimente operava in ipotesi di “valutazioni che singolarmente considerate […]”, mentre nella relase della nuova versione il legislatore ha sostituito l’avverbio “singolarmente”, affermando che l’irrilevanza penale operi ora nelle ipotesi di “valutazioni che complessivamente considerate differiscono in misura inferiore al 10% di quelle corrette”5.
Ai fini penali, quindi, occorre ora operare un distinguo a seconda che la rettifica all’impresa italiana attenga ai costi ritenuti eccedenti o ricavi ritenuti inferiori al principio dell’arm’s length poiché, atteso quanto sopra, ne consegue che in futuro saranno punibili le valutazioni che, complessivamente considerate, differiscano in misura inferiore al 10% da quelle ritenute corrette, mentre pare confermata in toto la previsione del comma 1-bis secondo la quale, ai fini dell’integrazione della fattispecie de qua, non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali.

Multinazionali con trasparente policy dei prezzi di trasferimento

Come abbiamo appena visto, mentre l’applicazione dell’esimente di cui al comma 1-ter è subordinato alla verifica a posteriori del non superamento delle predette soglie, nella diversa fattispecie recata dal precedente comma 1-bis della norma in rassegna il contribuente può ab origine porre in essere i comportamenti virtuosi necessari per escludere la responsabilità penale delle fattispecie valutative rispetto alle quali i criteri correttamente applicati risultano indicati nel bilancio d’esercizio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali aggiornata e, quindi, disponibile per ogni periodo d’imposta soggetto a verifica.
A parere di chi scrive, si evidenzia che per ciò che attiene al bilancio d’esercizio (i.e. nota integrativa), appare chiaro che per questioni di riservatezza in tale documento solitamente non vengono espressi i criteri con cui sono definiti i prezzi di trasferimento intercompany, ma di sicuro tale documento può fare da ponte con l’altra documentazione rilevante ai fini fiscali richiamata dalla legge, attraverso una specifica informazione al lettore che l’impresa multinazionale, con riferimento alle operazioni con parti correlate6, si è dotata della documentazione c.d. idonea in materia di prezzi di trasferimento (rectius Master file e Country file), il cui possesso però deve essere segnalato nella dichiarazione dei redditi e che appare la sede più opportuna per assolvere in toto a quanto richiesto dal citato comma 1-bis ai fini dell’operatività dell’irrilevanza penale delle fattispecie valutative.
Giova ancora brevemente ricordare che l’art. 26 del D.L. 31 maggio 2010, n. 787 ha introdotto un regime che riconosce ai contribuenti la facoltà di operare una disclosure della transfer pricing policy adottata dall’impresa multinazionale, al fine d’instaurare un rapporto di collaborazione con l’Amministrazione finanziaria, con conseguente disapplicazione delle sanzioni amministrative8 in presenza di contestazioni circa i corrispettivi praticati nelle transazioni con società non residenti appartenenti al medesimo gruppo d’imprese. La documentazione che deve risultare idonea deve essere formata seguendo le linee guida indicate dal Provvedimento direttoriale dell’Agenzia delle entrate del 29 settembre 2010, le cui indicazioni operative sono state emanate con la circolare del 15 dicembre 2010, n. 58/E.
A fronte dell’adozione di idonei oneri documentali in materia di TP (in seguito TPDOc), ne deriva per il contribuente verificato la disapplicazione delle sanzioni amministrative per infedele dichiarazione (dal 90% al 180% della maggiore imposta dovuta) connessa alla rettifica dei prezzi di trasferimento, del valore delle royalties e degli interessi attivi9. L’operatività della c.d. penalty protection, prevista dall’art. 1, comma 6, e dall’art. 2, comma 4-ter, del D.Lgs. n. 471/1997, è subordinata all’osservanza della seguente procedura:

a) indicazione nella dichiarazione dei redditi di periodo del possesso della documentazione in materia di TP10;
b) consegna, su specifica richiesta, della predetta documentazione idonea in sede di verifica o di altra attività ispettiva nei confronti del contribuente, come ad esempio l’invio di apposito questionario.

È appena il caso di ricordare che la valutazione sull’idoneità della TPDOc che deve soddisfare requisiti sostanziali e, quindi, non solo formali, in quanto deve fornire all’Amministrazione finanziaria dati ed elementi conoscitivi necessari per una completa e approfondita analisi dei prezzi di trasferimento praticati, è effettuata dai verificatori nel corso dell’attività ispettiva che in generale viene eseguita presso la sede amministrativa del contribuente ovvero, come nel caso dell’esempio di cui supra, a seguito di specifici questionari, presso gli Uffici della stessa Amministrazione finanziaria. Come precisato dall’Agenzia delle entrate con la citata circolare n. 58/E/2010, par. 10, l’esito della valutazione della TPDOc (idoneità o meno), effettuata dai verificatori in sede di accesso, ispezione e verifica, deve essere trascritto in maniera esplicita nel processo verbale di constatazione (PVC), salvo il potere dell’Ufficio competente di valutare criticamente il giudizio fornito nel citato PVC ai fini dell’irrogazione delle sanzioni amministrative.
L’idoneità della TPDOc, come supra evidenziato, dovrà quindi essere valutata sia da un punto di vista formale, nel senso che la documentazione dovrà essere predisposta secondo la struttura indicata nel Provvedimento prot. n. 2010/137654, sia da un punto di vista sostanziale, cioè presentarsi completa e veritiera nonché consentire all’Amministrazione finanziaria di comprendere la politica di transfer pricing adottata dall’impresa multinazionale.
Al fine di eliminare le incertezze operative in tema di idoneità della documentazione de qua riscontrate nel corso delle attività ispettive, il legislatore tributario recependo le osservazioni degli operatori ha inserito all’art. 8 del Decreto 14 maggio 2018 (c.d. Decreto TP), la disposizione normativa che prevede che con un (nuovo) Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate saranno forniti aggiornamenti in tema di documentazione dei prezzi di trasferimento ed in particolare saranno indicati i requisiti in base ai quali la documentazione potrà essere considerata idonea.
A tale riguardo, l’art. 8 dell’appena richiamato Decreto stabilisce che la documentazione deve essere considerata idonea in tutti i casi in cui:

• fornisca agli organi di controllo elementi conoscitivi necessari ad effettuare un’analisi dei prezzi di trasferimento praticati, a prescindere dalla circostanza che il metodo di determinazione dei prezzi di trasferimento o la selezione delle operazioni o dei soggetti comparabili adottati dal contribuente risultino diversi da quelli individuati dall’Amministrazione finanziaria;
• presenti omissioni o inesattezze parziali non suscettibili di compromettere l’analisi degli organi di controllo.

In proposito, si evidenzia che a tutt’oggi non risulta ancora emanato il Provvedimento direttoriale che nell’aggiornare il precedente documento recepisca i predetti criteri utili al rilascio dell’idoneità alla documentazione in materia di prezzi di trasferimento intercompany, mettendo fine all’eccessiva discrezionalità mostrata dall’Amministrazione finanziaria nel valutare l’idoneità della TPDoc, che non tenga conto della natura della documentazione stessa e dell’effort profuso dal contribuente nella predisposizione della medesima per mostrarsi al Fisco in modo trasparente e collaborativo.
In tema di penalty protection i giudici di merito sono stati chiamati più volte a pronunciarsi per valutare l’operatività delle esimenti di cui al citato D.Lgs. n. 471/1997. Uno dei recenti casi esaminati, ha riguardato il disconoscimento delle esimenti per inidoneità della documentazione ascrivibile al fatto che l’Ufficio contestava la selezione dei comparables, considerati inappropriati alla fattispecie considerata, la mancanza di un’analisi funzionale dei comparables stessi e il fatto che il contribuente aveva predisposto conti economici segmentati soltanto per uno degli anni e non anche per gli altri due oggetto della verifica. I giudici di secondo grado11, nel confermare la sentenza di giudici di prime cure, hanno riconosciuto, invece, la spettanza della penalty protection, sulla base che ciò che rileva non è la correttezza dei prezzi di trasferimento intercompany ma solo la messa a disposizione da parte della società verificata a favore dell’Ufficio della documentazione richiesta dalla norma.
L’orientamento dei giudici de quo appare in linea con il disposto del richiamato art. 8 del D.M. 14 maggio 2018, in base al quale la TPDoc deve essere considerata idonea in tutti i casi in cui la stessa fornisca agli organi di controllo le informazioni necessarie per la verifica, a prescindere dal fatto che l’analisi del contribuente sia diversa da quella operata dall’Ufficio.

Considerazioni conclusive

Alla luce di tutto quanto descritto, ne discende che le imprese multinazionali poste in Italia e interessate alla tematica penal-tributaria de qua, ai fini dell’adozione di un’idonea documentazione in materia di transfer pricing (Master file e Country file) devono operare un’attenta e ulteriore riflessione sulle negative conseguenze non solo amministrative ma, per l’appunto, anche penali in caso di mancata adesione al regime premiale facoltativo di cui si è in precedenza discusso, per evitare di incappare nella rivista ipotesi di dichiarazione infedele, di cui all’art. 4, del D.Lgs. n. 74/200012.
Infatti, anche a fronte delle recenti modifiche oggetto della presente disamina, nelle ipotesi in cui l’impresa abbia predisposto ab origine la documentazione (TPDoc) rilevante ai fini fiscali atta a descrivere i criteri posti a fondamento della valutazione degli elementi attivi e passivi dichiarati, la stessa appare pure idonea a scongiurare la rilevanza penale della dichiarazione infedele in caso di contestazioni in materia di transfer pricing.
Note:
1 Giova evidenziare che il reato di dichiarazione infedele è caratterizzato da un’ampia portata applicativa, essendo richiesta per la sua commissione la mera presentazione di una dichiarazione ai
fini delle II.DD. o dell’IVA non veritiera, non qualificata da ulteriori elementi fraudolenti né, tantomeno, è necessario che venga realizzato un comportamento idoneo a rendere difficile
all’Amministrazione finanziaria la ricostruzione della posizione fiscale del contribuente. Infatti, solo con la presentazione di una delle predette dichiarazioni annuale si realizza il presupposto
obiettivo dell’evasione d’imposta e la concreta offesa degli interessi connessi al prelievo fiscale. Si veda in merito la sentenza della Suprema Cassazione n. 13926 del 12 aprile 2012.
2 Modifiche apportate dall’art. 39 del D.L. 26 ottobre 2019, n. 124, convertito con modificazione dalla Legge 19 dicembre 2019, n. 157.
3 Infatti, non rilevano le violazioni alla dichiarazione in materia di IRAP.
4 Art. 4 - Dichiarazione infedele (in vigore dal 25 dicembre 2019).
1. Fuori dei casi previsti dagli artt. 2 e 3, è punito con la reclusione da due anni a quattro anni e sei mesi chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in
una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti, quando, congiuntamente:
a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro centomila;
b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, è superiore al dieci per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a euro due milioni.
1-bis. Ai fini dell’applicazione della disposizione del comma 1, non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti,
rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione
dell’esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali.
1-ter. Fuori dei casi di cui alcomma1-bis, non danno luogo a fatti
punibili le valutazioni che complessivamente considerate, differiscono
in misura inferiore al 10% da quelle corrette. Degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella
verifica del superamento delle soglie di punibilità previste dal comma 1, lett. a) e b).
5 Per fare un esempio, si richiama il recente commento in merito agli effetti della modifica normativa de qua, del Prof. M. Leo, “Valutazioni: ambiguità sull’errore rilevante” in il Sole 24 - Ore
del 21 gennaio 2020, nel quale l’autore, tra l’altro, prende a base il caso di una società, alla quale vengono rilevati errori di valutazione, per componenti positivi di reddito dalla stessa
valutati 100, ma per i quali sia ritenuta corretta [N.d.R. dal Fisco] una stima di 111 (scostamento dell’11%) e siano contestati anche la sovrastima di costi valutati 105 anziché 100. In tale
scenario, in base alla pregressa formulazione del comma 1-ter, la società non avrebbe potuto superare il vecchio test individuale con riferimento alla sola sottostima dei ricavi. Diversamente, con la nuova formulazione della norma (“complessivamente”) la società potrebbe ora soddisfare il nuovo test, per lo scostamento complessivo derivante dalla somma algebrica dell’errore sui ricavi dell’11% con quello dei costi del 5%, ottenendo uno scostamento complessivo del 16%, ampiamente eccedente il limite di legge del 10%. Gli effetti di tale esemplificazione sono contestati dall’autore stesso in quanto imporrebbe in modo
illogico di sommare tra di essi elementi non confrontabili.
6 Si evidenzia che la relazione illustrativa al D.Lgs. n. 173/2008, che ha inserito il n. 22-bis all’art. 2427 c.c., con riferimento alle informazioni in Nota integrativa circa le operazioni con parti correlate, ha affermato che per “normali condizioni di mercato” non dovrebbero intendersi solo quelle attinenti al prezzo delle
operazioni, dovendosi considerare anche le motivazioni che hanno condotto alla decisione di porre in essere l’operazione e a concluderla con parti correlate e non con terzi. Si veda in merito M. Meoli, “Da provare la necessità di informazioni sulle operazioni con parti correlate” in Eutekne.info del 18 gennaio
2020.
7 Decreto recante “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”. Con tale norma il legislatore domestico ha introdotto la possibilità (non un
obbligo) per le imprese multinazionali di predisporre un’apposita documentazione sulle politiche di transfer pricing adottate dai gruppi multinazionali, al fine di adeguare la normativa nazionale
alle Direttive OCSE in materia. Per un approfondimento, si rimanda, tra gli altri, A. Veneruso, “Transfer pricing: obblighi di documentazione a supporto delle policy infragruppo”, in Azienda & Fisco, n. 12/2010; e “Transfer pricing: primi chiarimenti in materia di oneri documentali”, in Bilancio e reddito
d’Impresa, n. 3/2011; e P. Valente - I. Caraccioli, “Valutazione di idoneità della documentazione sui prezzi di trasferimento” in il fisco, n. 21/2016.
8 A tal fine l’attuale versione dell’art. 1 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, al comma 6 reca la previsione della non applicabilità delle sanzioni connesse alla rettifica del valore
normale dei prezzi di trasferimento praticati nell’ambito delle operazioni di cui all’art. 110, comma 7, da cui derivi una maggiore imposta o una differenza del credito, qualora il contribuente, nel corso dell’accesso, ispezione, verifica o altra attività istruttoria, consegni agli organi di controllo una
specifica documentazione prevista con Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, emanato in data 29 settembre 2010, idonea a consentire il riscontro della conformità al valore normale dei prezzi di trasferimento praticati.
9 D.Lgs. n. 471/1997, art. 2, comma 4-ter: “In caso di rettifica del valore normale dei prezzi di trasferimento praticati nell’ambito delle operazioni di cui all’art. 110, comma 7, del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, da cui derivi la non corretta applicazione delle aliquote convenzionali sul valore delle royalties e degli interessi attivi che eccede il
valore normale previste per l’esercizio della ritenuta di cui all’articolo 25, quarto comma, del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, la sanzione di
cui al comma 2 non si applica qualora, nel corso dell’accesso,
ispezione o verifica o di altra attività istruttoria, il contribuente consegni all’Amministrazione finanziaria la documentazione indicata in apposito Provvedimento del Direttore dell’Agenzia
delle entrate idonea a consentire il riscontro della conformità al valore normale dei prezzi di trasferimento praticati. Il contribuente che detiene la documentazione prevista dal
Provvedimento di cui al periodo precedente deve darne apposita comunicazione all’Amministrazione finanziaria secondo le modalità e i termini ivi indicati; in assenza di detta comunicazione
si rende applicabile la sanzione di cui al comma 2”.
10 Barrando l’apposita casella del Quadro RS - rigo RS 106 del Mod. UNICO/SC di ogni anno in cui si vuole segnalare l’adesione alla penalty protection. L’effetto premiale non opera
in presenza di contestazioni di costi ritenuticome “non inerenti”
all’esercizio d’impresa, in quanto non afferenti a rettifiche in
materia di transfer pricing, così come meglio chiarito dall’Agenzia delle entrate con la circolare 21 giugno 2011, par. 4.5.
11 Cfr. Comm. trib. reg. Lombardia, sentenza n. 2454/1/2017. In merito, si vedaM.Bellini - E. Ceriana, “Sanzioni sul transfer price: i giudici alzano lo scudo”, in il Sole 24 - Ore del 13 gennaio 2020
12 A tal fine, si segnala che in data 12 febbraio 2020 l’OCSE ha pubblicato la Guida sui prezzi di trasferimento per le transazioni finanziarie, che si inserisce nell’ambito del c.d. progetto Beps
del 2015 (Base Erosion&Profit Shifting). In particolare, l’Action 4 del piano d’Azione Beps ha richiesto lo sviluppo dei prezzi guida per quanto riguarda “la determinazione del prezzo di
trasferimento delle operazioni finanziarie con parti correlate, comprese le garanzie finanziarie e di prestazione, i derivati (compresi i derivati interni utilizzati nelle negoziazioni interne
alle banche), e altri accordi assicurativi”. La dottrina che
condividiamo (vedi V. Vallefuoco, in il Sole 24 - Ore del 13 febbraio 2020), segnala che alcune recenti sentenze hanno ritenuto che l’applicazione di una diversa metodologia di
analisi dei prezzi di trasferimento, implicando per l’appunto
valutazioni discrezionali, non possa comportare responsabilità penali. Nella sostanza, l’autore giunge alla conclusione che se il contribuente adotterà tali specifiche Linee
Guida OCSE per le transazioni finanziare intercompany la sua
responsabilità sarà da escludersi categoricamente potendo assumere
le stesse la veste di altra documentazione rilevante ai fini
fiscali, di cui all’art. 4, del D.Lgs. n. 74/2000.
2020-07-07 16:21